I dati occupazioni degli Stati Uniti sono inequivocabilmente più deboli delle attese. Tuttavia, non sono pochi gli analisti che sottolineano come le conseguenze sui mercati siano state peggiori rispetto a quanto sarebbe opportuno.
Probabilmente, la ragione è da ascriversi al fatto che i dati sul lavoro devono essere letti nel quadro più ampio dell’andamento congiunturale, oltre che della normale volatilità mensile dei dati (che è stata aggravata dallo sciopero di alcune grandi aziende). Insomma, un mese di andamento deludente non deve far passare in secondo piano il fatto che da diversi trimestri la crescita di occupati era straordinariamente dinamica, soprattutto se rapportata a quella della domanda finale. Insomma, un rallentamento era prevedibile, anche se nessuno sapeva dire quando sarebbe arrivato.
Già alla fine dello scorso anno la Federal Reserve sosteneva che una crescita di occupati intorno a 100 mila unità al mese sarebbe stata compatibile con una valutazione positiva del mercato del lavoro vista dal crescita prevista della forza lavoro. Pertanto, un incremento dell’occupazione tra gli 80 e i 120 mila lavoratori sarebbe comunque in linea con le valutazioni di una normalizzazione dei flussi di domanda e offerta e, eventualmente, anche con la ripresa della dinamica salariale.
In altri termini, è sbagliato pensare che i dati di maggio, pur deludenti rispetto alle attese, siano sufficienti per ipotizzare un rallentamento della crescita del PIL nel 2° semestre 2016 sotto un 2% medio. Per esprimere un’opinione in tal senso, bisognerà invece monitorare con attenzione i prossimi employment report. Per il momento, confermiamo la difficoltà (o l’impossibilità) di attuare un rialzo dei tassi a giugno, ma niente toglie dal tavolo della discussione la possibilità che vi possa essere un rialzo a luglio.