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Dati macro USA, occhi aperti sull’inflazione

fedI dati del CPI di dicembre, in pubblicazione il prossimo 20 gennaio, dovrebbero mostrare l’inflazione core al 2,1% a/a, un livello massimo dallo scorso luglio 2012; l’inflazione headline dovrebbe essere invece ricondotta allo 0,8% a/a, per i massimi da dicembre 2014. Ancora, la variazione mensile dell’indice core dovrebbe essere dello 0,2% m/m per il quarto mese consecutivo.

Da quanto sopra è possibile evincere che nel mese di dicembre la dinamica dei prezzi dei servizi dovrebbe continuare a più che controbilanciare la debolezza nel comparto dei beni core, confermando un graduale trend verso l’alto. Anche alla luce di ciò, il FOMC ha più volte rassicurato che l’inflazione verrà “monitorata da vicino” per valutare il ritmo appropriato del sentiero dei tassi. Ma cosa potrebbe avvenire in tal senso?

In primo luogo, si può ben ricordare come l’andamento delle variazioni mensili del CPI core intorno allo 0,2% sia necessario, ma non certo sufficiente, per poter supportare il prossimo rialzo. È infatti pressochè obbligatorio che riparta anche il deflatore core, che dovrebbe avvenire per via di una spinta ai prezzi dei servizi sanitari (attesa a partire da gennaio) e che vengano stabilizzate  le aspettative di inflazione. Ebbene, ricordavano gli analisti ISP in proposito, tutte le misure di aspettative sono su un trend in calo: non solo quelle implicite nei tassi di mercato, ma anche quelle delle indagini presso imprese e famiglie hanno subito pressioni verso il basso nella parte finale del 2015 e a inizio 2016.

Sempre in tale ambito, diversi membri del FOMC hanno poi segnalato evidente preoccupazione per i rischi di un disancoraggio delle aspettative. Quanto sopra, in aggiunta agli impatti negativi provenienti dalla Cina, potrebbe apportare un definitivo cambio di rotta rispetto all’auspicio di ben 4 rialzi dei tassi di interesse di riferimento nei prossimi mesi, ed entro la fine del 2016…

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