Un derivato è un contratto finanziario che deriva il suo valore da un’attività sottostante. Di norma i derivati sono usati per poter compiere operazioni su sottostanti come materie prime come petrolio, benzina o oro, oppure sulle valute, spesso il dollaro USA o l’euro. Ma ci sono derivati anche basati su azioni o obbligazioni, su tassi d’interesse e titoli di Stato, e così via.
Si tenga conto che per funzionamento, il venditore del contratto non deve possedere il bene sottostante. Può adempiere al contratto dando al compratore denaro sufficiente per acquistare l’attività al prezzo prevalente. Può anche dare all’acquirente un altro contratto derivato che compensi il valore del primo. Insomma, un meccanismo che rende i derivati molto più facili da scambiare rispetto alla risorsa stessa cui si riferiscono.
Secondo quanto affermano gli ultimi dati ufficiali, relativi al 2016, sarebbero stati scambiati in un anno 25 miliardi di contratti derivati. L’Asia ha dominato gli scambi con il 36% del volume, mentre il Nord America ha scambiato il 34% del totale. Il 20% dei contratti è stato scambiato qui in Europa. Complessivamente, i contratti valevano $ 570 trilioni nel 2016, ovvero sei volte di più della produzione economica del mondo.
Guai però a pensare che i derivati siano solo strumenti speculativi, considerato che oltre il 90 percento delle 500 maggiori società mondiali utilizza derivati per ridurre il rischio. Ad esempio, un contratto future può promettere la consegna di materie prime ad un prezzo concordato: in questo modo l’azienda è protetta se i prezzi aumentano. Le aziende concludono contratti derivati anche per proteggersi dalle variazioni dei tassi di cambio e dei tassi di interesse.
Insomma, speculazioni a parte, i derivati rendono i flussi di cassa futuri più prevedibili e consentono alle aziende di prevedere i loro guadagni in modo più accurato.